Odissea notturna di Raimondi Daniela



Profilo Critico

Un corpo un numero un nome.
Qui non ci sono fiori.
Non ci sono ombrelli, cappotti rossi, bambini.
È un mondo muto, puro come il sale.

Spengono le luci.
I malati scendono nel ventre delle sotterranee.
Hanno mani bianche, le orecchie di carta velina.
Si trascinano portandosi dietro il corpo ricucito.
Sono fantasmi, corpi trasparenti
sotto le luci azzurre dei corridoi.
Osservano le file di cuori sotto spirito,
La solitudine dei feti nei vasi di cristallo.

Questa è una prigione di donne.
Un gineceo di aborti e corpi sterili.
Le vecchie rantolano nei loro astucci bianchi,
si agitano come bambine nei vicoli bui
dei lori sogni.

Qualcuna russa. Muove nel buio la lingua di cenere.
Il suo sibilo segna il percorso di un incubo.
Sento l’aprirsi e il chiudersi, l’aprirsi
e il chiudersi faticoso dei polmoni.

Una donna grida.
Gli angeli della morfina hanno calze nere, mani nervose.
Le portano in dono poche gocce d’amore.
L’ago entra nel braccio come una fiaba.
La donna si scioglie. Diventa zucchero.
La testa ricade, soffice come una pesca.

Dormono le donne sterili, gli anemici,
gli esseri soli della terra. E senza figli,
i senza corpo, i corpi di cera infilati nei pigiami.
Giù nel cortile i topi divorano foglie di cavolo,
garze, croste di pane.
Le loro code guizzano dentro ai cassonetti.
Vegliano i portieri di notte,
gli occhi di scimmia dietro le tende a fiori
e vegliano le bocche sigillate degli insonni,
i cuori inamidati delle infermiere.