Diversamente Amore di Casini Antonia



Profilo Critico

Anna è il fulcro e il perno intorno a cui ruota una fantasia di amori, colori, gioie e vita. Il suo gruppo di ragazzi speciali anzi “super dotati”, sono capaci di vivere appieno una vita di gruppo nella quale ognuno è complementare dell’altro e dove lei è la molla che ne carica il meccanismo.
Anche in situazioni particolari, come quelle presentate nella parte finale dell’opera, non si perde la consapevolezza di vivere una vita pienamente normale.
L’autrice, Antonia Casini, riesce con una narrazione semplice, coinvolgente e spontanea a trasportarci piacevolmente all’interno del gruppo del “Parco del Mulino” e a farci sentire desiderosi di poter entrare nel gruppo per condividere con ciascun appartenente ad esso le più svariate e complesse sfaccettature della loro felice esistenza.

Membro di Giuria
Prof. ANTONIO CRUDELI

«Uno, due, tre …» enumerava indicando uno dopo l’altro down e non. «Dieci, undici, dodici …». Un attimo. «Manca il tredicesimo. Lavinia, manca Lavinia. Laviiiii!». La sua voce si alzò sopra ogni rumore, ogni chiacchiera inutile, sopra lo sciabordio del mare. «Oh Dio, no, nooooo». Il corpo di Lavinia era riverso in acqua, le braccia allargate. Anna si lanciò su di lei, la seguirono gli altri persino il bagnino della struttura attrezzata accanto, richiamato dalle grida. La rovesciarono, ma la quarantenne aveva già chiazze bluastre sul volto e non rispondeva più. «Portate il defibrillatore» implorò Anna sconvolta. La disperazione la fece spingere dove non sarebbe mai andata da sola. L’adrenalina le fece trovare la lucidità che non aveva. Attaccarono il dispositivo dopo aver trascinato a terra quel corpo molle. Poi si buttarono su di lei per il massaggio cardiaco, mentre l’educatrice le teneva la mano fredda e chiamava il 118. Il dottore proseguì le manovre di rianimazione, ci provarono tutti per trenta lunghi minuti. Ma inutilmente. Lavinia era stanca, troppo stanca e non tornò mai più indietro da quel suo ennesimo viaggio. «È morta» disse freddo ( o almeno ad Anna era sembrato così) il medico, il camice bagnato zuppo. Lei si accasciò dondolandosi, rannicchiata, avanti e indietro. «Come faccio, ora, come faccio?» si chiedeva , mentre Matteo le accarezzava i capelli. Lui avrebbe voluto parlarle, ma sapeva che era un momento triste e non voleva disturbare Anna in quella preghiera. I volontari dell’associazione di soccorso stesero un telo bianco sulla donna. Tutta la spiaggia aveva assistito alla scena, ma ora i bagnanti erano tornati alla loro vita. Anna era troppo presa dal dolore per farci caso, solo più tardi si ricordò della freddezza e dell’indifferenza di chi fino a poco tempo prima aveva giocato con loro. «Bisogna chiamare la madre» propose qualcuno. Anna si fece subito avanti, doveva farlo lei. L’aveva affidata a lei. «Pronto, Noemi?» Attaccò la psicologa. «Lavinia se n’è andata, vero?» le rispose la mamma senza che lei avesse il tempo e modo di spiegare. Silenzio. «Sì» aggiunse soltanto con tutta la dolcezza che le riuscì esprimere. Quella mamma non chiese nient’altro, né com’era successo, né se la figlia avesse detto qualcosa. Si limitò a rassicurare la voce straziata all’altro capo del telefono che si era messa a piangere come non aveva mai sentito. «Stai tranquilla, Annina. Doveva succedere. Io lo sapevo e stavo attendendo solo il giorno in cui l’avrei persa. Arrivo subito».