L’apparenza di Fragomeni Emilia



Profilo Critico

In un alternarsi di presente e di passato si leva il canto di questi splendidi versi così ricchi di fremiti e di forti sensazioni, così colmi di colori e di profumi, di affetti, di addii e di rinascite.
Sono poesie dolci e nello stesso tempo forti e profonde che si imprimono nella mente del lettore per la loro naturale musicalità e per la bellezza delle immagini. La poetessa riesce a creare quadretti di vita in mezzo alla natura, usa con maestria figure retoriche e frequenti onomatopee per riprodurre persino i suoni di un campo d’autunno in cui “…fra scricchiolii di foglie e sinfonie/ d’un mistero rosso e bianco”, ella ritroverà le anime e gli affetti dei suoi cari che non ci sono più, ma tutto in un’aura di amore, amicizia e speranza (Echi di ricordi).
La nostalgia di una persona amata, il rimpianto di una dolce stagione e di una terra che ancora attende il ritorno della protagonista per donare la pace del suo calore e il conforto di ricordi che nulla potrà cancellare, questi sono i temi che emergono con forza e il canto del mare – sottofondo “…dei nostri incerti affanni” di leopardiana memoria – racconta di un passato dolente di due esistenze che sembrano incapaci di incontrarsi al di là dell’ “apparenza”. Ma, respirando il peso delle sofferenze, l’autrice sa come riempire il “crudele frastuono del silenzio” e aprirsi a nuova speranza: scrivendo poesie (Scrivo versi).

Membro di Giuria
Prof.ssa ELENA BOLOGNA

Nell’incerto aggrapparci
al fluttuare di apparenze,
vagammo come anime randagie,
in corsa con le sillabe del tempo.

Ci rifugiammo su una spiaggia
vuota, la salsedine del mare
tra i capelli, la voce d’acqua
che sciabordava lieve, mossi
da un fremito di speranza che
ricercava echi al nostro sangue.

Frugammo tra memorie e cerchi
d’ombra, tra luoghi vaghi senza
più contorni, per dire il senso,
l’emozione e il dramma dei
nostri incerti affanni.

E parlammo di noi, parlammo
a lungo, rovistando impietosi
tra i pensieri, fino all’estremo
soffio del mistero, illuminato
dalla nostra pena.

E nulla abbiamo tralasciato,
nulla, finché la luna non si
dissolse in alba e illuminò
sacche di abbagli e vuoti sogni,
accartocciando l’anima nel cielo.

Apparimmo allora ciò che fummo:
Tu, quello che sparivi nel fruscio
del silenzio e vivevi solo nelle assenze.

Io, quella che misurava anche
il respiro del tempo e disperdeva
la vita come cenere al vento,
polvere grigia sulle amare labbra.

Eravamo solo due fragili farfalle,
metafore di voli di stagioni pallide,
che trascorrevano lente sui nostri
velati tramonti, quasi in attesa
ancora di un approdo.

Il resto, appunto, era solo …
l ‘apparenza.