Madri vesuviane di Cangiani Salvatore
Profilo Critico
La poesia “Madri vesuviane” di Salvatore Cangiani è dedicata a mettere a fuoco il lavoro delle “madri vesuviane”, giacché esso conferisce spessore e rilevanza poetica all’esperienza della quotidianità.
Si tratta di una vera e propria “sfida”, lanciata dalla donna verso la natura attraverso il lavoro; sfida che si tinge di una patina mistico-simbolica, allorquando nella notte la preghiera feconda la terra, gonfiando “d’altro latte” i “seni rosei” di mucche smagrite.
Il componimento possiede uno stile armonico che dimostra tanto la padronanza concettuale che la cultura visuale dell’autore.
Prof. Riccardo Roni
Larve di sonno avvolte in gravi scialli
migravano nell’alba rugiadosa
d’un avaro novembre
con mani adunche a sradicare ortaggi
da spartire tra cene e beveraggi
nella cucina-stalla.
Desolate
spose d’uomini in guerra
madri curve sui figli a preservarli
dal malefico incanto della luna.
E fu la sfida
che riattizzava braci semispente
al paiolo di rame e rifondeva
al forno altra ramaglia, i gusci vuoti
delle pigne legnose, le fascine
ritorte dell’ulivo.
S’aggrumava
rovente la caligine sui muri
di pietra nuda, nubi di vapore
ad oscurare la fioca lucerna.
Intanto nella notte la preghiera
fecondava la terra
moltiplicava i chicchi nella spiga
gonfiava d’altro latte i seni rosei
della mucca smagrita, vellutava
sui nuovi tralci il grappolo d’uva nera.
E fu il calore
del forno spalancato la vertigine
d’un ritrovato abbraccio con lo sposo.
Fu l’annuncio del pane profumato
di finocchio selvatico e di mirto
la sua fragranza sacra come il fiato
misterioso di Dio.
E dal dolore a lungo sigillato
dentro i solchi dell’anima
quasi fosse ogni lacrima una scheggia
di sole, sul Vesuvio
tornarono a fiorire le ginestre.