Sono nato nel mese dei morti di Bartalini Luigi



Profilo Critico

Una storia emozionante e commovente che, ambientata nella Napoli
povera, si sviluppa su due piani temporali: il primo dal 1938 agli anni della seconda guerra mondiale e il secondo nei giorni del Natale 1964 ma quest’ultima alternando il tempo reale a quello dei ricordi relativi al primo periodo e completandone il mosaico.

Anche la narrazione si sviluppa su due piani sia nel primo e più ampio periodo che nel secondo. Il giovane protagonista e la madre sono i narratori nella prima parte e nella seconda la madre, ormai morta, viene sostituita dalla moglie del protagonista che ha ereditato il compito di fare "tutto quello che lei non era riuscita a fare" e di dargli "quello che a lei non era riuscito dargli".

Il linguaggio semplice e scorrevole e la narrazione emotiva e coinvolgente sono le principali doti nell’opera di Luigi Bartalini e il lettore viene coinvolto nella storia fin dalle prime pagine che gli vengono presentate come se fossero narrate direttamente dai protagonisti. La pagina conclusiva, oltre a rivelare la motivazione del titolo, ci riporta all’inizio della storia in un ciclo ripetitivo, tramite l’immagine di un bambino che, lasciato sulla porta del collegio delle suore, piange vedendo la madre allontanarsi.

Massa, 10 maggio 2015

Membro di giuria

Prof. ANTONIO CRUDELI

Ho una blusa e dei pantaloni alla zuava, e anche il cappellino, da marinaio, tutto blu, le scarpe no, sono le mie, quelle non sono nuove, e ora andiamo veloci per strada e mi tiri un po’ per farmi andare più in fretta, e man mano che proseguiamo non sono più contento del latte zuccherato e del pane e burro e neanche dei biscotti con la granella che ora nel sacchetto mi pesano e mi opprimono. Perché devo portarli, non posso mangiarne quando torniamo a casa?, perché torniamo a casa, vero? […]

È stato qualche giorno prima che ti lasciasse, non te ne ho mai parlato, che mi sentii chiamare; ero in casa di mia zia, quella che viveva a poca distanza da tua madre, la sua voce, stentata, fuori dalla finestra, mi chiamava per nome, quasi un lamento, una richiesta d’aiuto.

Non so come sia riuscita a vestirsi ed arrivare fin lì, ma era di sotto, mi fece segno di raggiungerla in strada, sarebbe stato impossibile per lei salire i due piani di scale.Portava ancora il cappotto, sebbene fosse maggio, era pallida e magra, gli occhi però determinati e come febbricitanti, mi strinse entrambe le mani e guardandomi dritto negli occhi, mi chiese di badare a te.

Sì, amore mio, tua madre mi affidava il suo piccolo, perché facessi tutto quello che lei non era riuscita a fare, perché ti dessi quello che a lei non era riuscito di darti.È stato il suo modo di congedarsi e chiederti perdono. Pochi giorni dopo è andata via.