Un fandango alla fine della tua mano di De Mas Fabio
Profilo Critico
Già con il titolo della sua raccolta “Il suono della neve” il poeta Fabio De Mas riesce ad
evocare l’attesa di qualcosa di puro, lieve, silenzioso, incontaminato.
Ma in verità gli argomenti trattati toccano tematiche molto reali e profonde che hanno spesso
a che fare con l’uomo e la sua dimensione mortale, la passione, la quotidianità, la sofferenza.
La parola è usata in tutto il suo potere evocativo e serve per creare una realtà intensa e piena,
pur impiegando spesso immagini tenui e rarefatte. Per questo le descrizioni e le esperienze
non sono mai chiaramente comunicate, ma tutto è appena evocato, e le presenze, le
apparizioni, le azioni sembrano porsi come immagini emblematiche e simboliche: si passa dai
“bagliori che la vita ha lasciato cadere”, alla necessità di “barare per poter sognare”, a
“mari di cristallo che si possono solo sfiorare”, ad “arcobaleni mai raggiunti” e a
“nascondere le emozioni” – dice il poeta – per soffrire sorridendo nella passione e nel
disincanto.
Gli elementi concreti si dissolvono via via fino ad assumere il significato di simboli, la realtà
si mescola con il sogno e la fantasia, (Povero uomo) o diventano gioiose parvenze
(PiccoloAngelo) o si trasformano in indizi che rimandano all’essenza trascendente del mondo
(Preghiera di un agnostico), soffermandosi su quel dubbio esistenziale che il poeta,
autodefinendosi “incatenato…ma anche …inadeguato al mondo”, definisce “il prezzo da
pagare per questa inconsistenza”.
Il grande pregio di questa raccolta poetica sta nella perfetta sintesi intellettuale e
immaginativa: da un lato la liricità è affidata alla confessione intima e alla ricerca dei profondi
recessi dell’uomo, dall’altro coniuga in modo superbo la lingua della grande tradizione
letteraria sul piano metrico e su quello lessicale.
Membro di Giuria
Prof.ssa ELENA BOLOGNA
Con uno sguardo pieno di vertigine
in un traffico sudamericano
perduto alla fine della tua mano
tra caldo smog e fuliggine.
In mille ventilatori
balliamo un languido fandango
come falsi e consumati attori
fingendo perfino un improbabile tango.
Peccato essere provinciali,
non sapere parlare né bere
essere troppo così, uguali
a chi sa bene solo cadere.
si può sempre sognare di fuggire
transatlantici o esotici scenari
altra cosa sarebbe davvero partire
navigare il cielo come temerari.
Invece siamo inchiodati in un grido
tra un’alba e il fumo di una sigaretta
schiacciati da un non mi fido
di una vita troppo stretta.
Non conosciamo sfumature
solo incerte ossessioni
provati da troppe scottature
orfani di santi e vocazioni.
Forse c’è poco da fare
per chi non sa come mentire
ed è costretto a riprovare,
era semplicemente amore difficile da capire.
Questa notte piena di lividi
dovrà pur svanire
esplodere in infiniti brividi
farsi sole o strada da seguire.
Vele gonfie di sofferenza
non servono in questo traffico sudamericano
che ci fa sudare e bestemmiare l’esistenza
e rimane solo un fandango alla fine della tua mano.