Iqbal Masih di Silveto Adolfo



Profilo Critico

La catena tra cuore e telaio
e gli occhi tuffati nell’immenso
mentre conti i nodini al tuo tappeto
e le trame ti crescono violente
nelle mani ferite,
profanate dal tempo.
Iqbal, tu lo sai, devono essere dieci
per stanotte!
Ma l’anima recide il filo nero
che ti avvince all’ordito e ti fa schiavo,
povero uccello ancora senza piume,
pettirosso rapito a un cielo chiaro,
dove anime di bimbi assassinati
inventano illusioni e paradisi
di giochi mai giocati.
Ma pure il tuo corpo, Iqbal,
è tempio dello spirito,
e se qualcuno crede di annientarti
spargendoti col sangue sui tappeti,
il tuo grido ribelle
che sgomenta la notte e la frammenta,
è una scheggia di luce
che incide l’universo.
E nel sogno che vince ogni dolore,
un ibisco fiorisce tra le pietre,
mentre invochi la pace
che ti lancia in un volo di colombe.
Ti piangeremo in tanti,
ma molti non sapranno mai perché,
altri nasconderanno nella polvere
abissi di vergogna,
e avanti per il prossimo Iqbal,
con la condanna
al rogo del silenzio,
al mare infame dell’indifferenza.