Pudentilla, ancella di Montuori Vincenzo



Profilo Critico

Un elenco di personaggi diversi per natura, stato sociale, cultura, religione, sesso, ma tutti improvvisamente accomunati dall’implacabile consapevolezza della morte imminente: la lava del Vesuvio che non lascia scampo a nessuno, solo il tempo per una breve ed intensa riflessione sulla propria vita e sulla propria morte. “Cartoline da Pompei”, il titolo della silloge di Vincenzo Montuori, non può non richiamare alla memoria l’ “Antologia di Spoon River”, ma qui la sensibilità, la delicatezza, la malinconia che traspaiono potenti di fronte alla morte che tutto livella, rendono le liriche ancora più profonde e commoventi. L’autore sapientemente alterna la figura di un’ancella e quella di una matrona, quella di una prostituta cristiana a quella di un sacerdote pagano, quella di un reziario a quella di un filosofo, di un retore, di un medico. A cosa è servito ad ognuno di essi amare, soffrire, vivere? Adesso ogni ipocrisia, ogni falsità, ogni artifizio, ogni inganno saranno svelati, gli oratori che “tuonano dai rostri”, i “padri severi” e gli “sposi irreprensibili” che ogni sera si abbandonano alle sue braccia – dice Lalage, la prostituta -, “tremeranno di fronte alla montagna che vomita il suo lutto” e tutto rimarrà polvere e cenere se la “noncuranza dei posteri” non condannerà “eternamente alla dimenticanza” (Prologo). L’attività poetica non rappresenta per l’autore uno strumento per “spillare” il senso profondo, intimo, segreto della vita, ma è plasmata per conoscere, interrogando, i nostri dubbi, le nostre incertezze, le nostre paure; per immergersi razionalmente anche negli aspetti più inquietanti della realtà e della coscienza umana, prendendo atto della profonda solitudine e fragilità dell’uomo. Si uniscono così il linguaggio classico di Leopardi da cui si riprende l’inquieta interrogazione sul nulla e quello di Montale da cui proviene la concretezza dell’immagine.
Membro di Giuria
Prof.ssa ELENA BOLOGNA

Questo fuoco bruciando

che risana, questo fuoco

che consuma

a rinvigorire la terra,

somiglia questo fuoco

al mio segreto amore

“Mettiti al riparo” – urla

la famiglia – ma io, no, rimango

affascinata dalle fiamme

che divorano la soglia,

dall’acqua nell’impluvio

che ribolle

Tra qualche anno, un fiore

questo deserto ingentilendo,

può germinare vita dalla morte

Ma questo amore che mi mette sete,

le tue carezze mai lo placheranno;

fuoco sarà a temprarmi

in un tormento che mi rinnovella.